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giovedì 12 marzo 2009

LETTERA DEL PAPA REMISSIONE SCOMUNICA VESCOVI LEFEBVRE


CITTA' DEL VATICANO, 12 MAR. 2009 (VIS). Questa mattina è stata resa pubblica una Lettera di Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla remissione della scomunica dei quattro Vescovi consacrati dall'Arcivescovo Lefebvre.

  Di seguito riportiamo il testo integrale del documento, datato 10 marzo e pubblicato in lingua inglese, francese, spagnola, italiana, tedesca e portoghese.

  "Cari Confratelli nel ministero episcopale!

  "La remissione della scomunica ai quattro Vescovi, consacrati nell'anno 1988 dall'Arcivescovo Lefebvre senza mandato della Santa Sede, per molteplici ragioni ha suscitato all'interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata. Molti Vescovi si sono sentiti perplessi davanti a un avvenimento verificatosi inaspettatamente e difficile da inquadrare positivamente nelle questioni e nei compiti della Chiesa di oggi. Anche se molti Vescovi e fedeli in linea di principio erano disposti a valutare in modo positivo la disposizione del Papa alla riconciliazione, a ciò tuttavia si contrapponeva la questione circa la convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vita di fede nel nostro tempo. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento. Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari Confratelli, una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa".

  "Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all'improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa. Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio - passi la cui condivisione e promozione fin dall'inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico. Che questo sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e per un momento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la pace all'interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare profondamente. Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l'internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l'atmosfera di amicizia e di fiducia, che - come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II - anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere".

  "Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione. La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un'Ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l'unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all'unità. A vent'anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto. La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio. Con ciò ritorno alla distinzione tra persona ed istituzione. La remissione della scomunica era un provvedimento nell'ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall'ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l'istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri - anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica - non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa".

  "Alla luce di questa situazione è mia intenzione di collegare in futuro la Pontificia Commissione 'Ecclesia Dei' - istituzione dal 1988 competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa - con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Con ciò viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l'accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi. Gli organismi collegiali con i quali la Congregazione studia le questioni che si presentano (specialmente la consueta adunanza dei Cardinali al mercoledì e la Plenaria annuale o biennale) garantiscono il coinvolgimento dei Prefetti di varie Congregazioni romane e dei rappresentanti dell'Episcopato mondiale nelle decisioni da prendere. Non si può congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l'intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l'albero vive".

  "Spero, cari Confratelli, che con ciò sia chiarito il significato positivo come anche il limite del provvedimento del 21 gennaio 2009. Ora però rimane la questione: Era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente una priorità? Non ci sono forse cose molto più importanti? Certamente ci sono delle cose più importanti e più urgenti. Penso di aver evidenziato le priorità del mio Pontificato nei discorsi da me pronunciati al suo inizio. Ciò che ho detto allora rimane in modo inalterato la mia linea direttiva. La prima priorità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu … conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32). Pietro stesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera: 'Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi' (1 Pt 3, 15). Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) - in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l'umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più".

  "Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l'unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani - per l'ecumenismo - è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce - è questo il dialogo interreligioso. Chi annuncia Dio come Amore 'sino alla fine' deve dare la testimonianza dell'amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l'odio e l'inimicizia - è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell'Enciclica 'Deus caritas est'".

  "Se dunque l'impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l'amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma ora domando: Era ed è veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che 'ha qualche cosa contro di te' (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione? Non deve forse anche la società civile tentare di prevenire le radicalizzazioni e di reintegrare i loro eventuali aderenti - per quanto possibile - nelle grandi forze che plasmano la vita sociale, per evitarne la segregazione con tutte le sue conseguenze? Può essere totalmente errato l'impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l'insieme? Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l'insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l'intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l'amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell'unità? Che ne sarà poi?".

  "Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest'occasione concreta abbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate - superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un'apertura dei cuori. Ma non dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella consapevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell'ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l'impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo".

  "Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare e commentare il brano di Gal 5, 13 - 15. Ho notato con sorpresa l'immediatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: 'Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!'. Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in San Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo 'mordere e divorare' esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l'uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l'amore? Nel giorno in cui ho parlato di ciò nel Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madonna della Fiducia".   "Di fatto: Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Figlio, di cui noi tutti possiamo fidarci. Egli ci guiderà - anche in tempi turbolenti. Vorrei così ringraziare di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che in questo tempo mi hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto e soprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera. Questo ringraziamento vale anche per tutti i fedeli che in questo tempo mi hanno dato testimonianza della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore protegga tutti noi e ci conduca sulla via della pace. È un augurio che mi sgorga spontaneo dal cuore in questo inizio di Quaresima, che è tempo liturgico particolarmente favorevole alla purificazione interiore e che tutti ci invita a guardare con speranza rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua".

Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo Vostro nel Signore
BXVI-LETTERA/SCOMUNICA VESCOVI LEFEBVRE/...      VIS 20090312 (2390)


PADRE LOMBARDI: PAPA SI SENTE INTERPELLATO COME PASTORE

CITTA' DEL VATICANO, 12 MAR. 2009 (VIS). In un Commento alla "Lettera del Papa ai Vescovi della Chiesa Cattolica  riguardo alla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall'Arcivescovo Lefebvre", Padre Federico Lombardi, S.I., afferma: "E' un documento davvero inconsueto e degno della massima attenzione. Mai come in questo caso finora durante il suo Pontificato Benedetto XVI si era espresso in un modo così personale ed intenso su un argomento dibattuto".

  "Il Papa ha vissuto la vicenda del gesto di remissione della scomunica e delle reazioni che ne sono seguite con evidente partecipazione e sofferenza. (...) E si sente tenuto ad intervenire per 'contribuire alla pace nella Chiesa', che vede turbata".

  "Con la consueta lucidità ed umiltà riconosce limiti e sbagli che hanno influito negativamente sulla vicenda, e con grande nobiltà non ne attribuisce ad altri la responsabilità, manifestandosi solidale con i suoi collaboratori. Parla di informazione insufficiente a proposito del caso Williamson e di non sufficiente chiarezza nella presentazione del provvedimento di remissione della scomunica e del suo significato".

  "Anche la questione del 'caso Williamson' (...) appare fortunatamente già superata, ma dà modo al Papa di ricordare con fierezza che la condivisione e promozione di tutti i passi fatti per tale riconciliazione a partire dal Concilio erano state 'fin dall'inizio un obiettivo del suo personale lavoro teologico'".

  "Il Papa si impegna piuttosto a chiarire la natura, il significato, le intenzioni del provvedimento di remissione della scomunica; spiega che come la scomunica era una punizione per delle persone che avevano compiuto un atto che metteva a rischio l'unità della chiesa non riconoscendo l'autorità del Papa, così ora - dopo che le persone colpite avevano manifestato un riconoscimento dell'autorità del Papa - la remissione della scomunica è un caldo invito al loro ritorno nell'unità".

  "Benedetto XVI si sente interpellato profondamente nella sua responsabilità di pastore della Chiesa universale e ritiene di dover chiarire senza incertezze ai suoi fratelli nell'Episcopato corresponsabili del bene della Chiesa, con quali priorità e con quale spirito sta svolgendo il suo servizio. (...) Egli ribadisce le grandi priorità del Pontificato (...): condurre gli uomini a Dio, Dio che si è rivelato nella Bibbia e in Cristo; l'unità dei cristiani; il dialogo fra i credenti in Dio al servizio della pace; la testimonianza della carità nella dimensione sociale della vita cristiana".

  "Ma poi il Papa continua la sua riflessione invitando i suoi interlocutori a una riflessione personale ed ecclesiale impegnativa e stringente. Il fatto paradossale che da un gesto che vuol essere di misericordia e riconciliazione sia nata invece una situazione di acute tensioni obbliga infatti a interrogarsi per discernere quali atteggiamenti spirituali si siano manifestati e siano all'opera in questa vicenda".

  "Le domande del Papa si fanno incalzanti, animate da una vivissima preoccupazione per l'unità. Non perdono il senso del realismo, poiché ricordano anche i gravi difetti di tante espressioni dei tradizionalisti, ma uguale realismo critico il Papa sente di dover conservare nei confronti di membri della Chiesa e della società che sembrano opporsi con irriducibile intransigenza ad ogni sforzo di riconciliazione o anche solo di riconoscimento di elementi positivi nell'altro".

  "La riflessione termina ritornando a un invito appassionato all'amore come priorità assoluta per il cristiano e a un auspicio profondo di pace per la comunità della Chiesa".
OP/LETTERA VESCOVI/LOMBARDI                       VIS 20090312 (550)


CRISTIANI, EBREI E MUSULMANI VIVANO IN PACE IN TERRA SANTA

CITTA' DEL VATICANO, 12 MAR. 2009 (VIS). Questa mattina il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto i membri di una Delegazione del Gran Rabbinato di Israele e della Commissione Cattolica per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo".

  All'inizio del suo discorso il Papa ha ribadito che: "L'importante dialogo nel quale siete impegnati è un frutto della storica visita in Terra Santa del mio amato predecessore Papa Giovanni Paolo II, nel marzo 2000".

  Benedetto XVI ha rilevato come "Nel corso di questi sette anni l'amicizia fra la Commissione e il Gran Rabbinato si è accresciuta, e voi avete potuto riflettere sugli importanti temi rilevanti sia per la tradizione Ebraica che per la tradizione Cristiana".

  "Lavorando insieme siete divenuti sempre più consapevoli dei comuni valori che stanno alla base nelle nostre rispettive tradizioni religiose, studiandole nel corso dei sette incontri tenuti a Roma e a Gerusalemme. Avete riflettuto sulla santità della vita, i valori familiari, la giustizia sociale e la condotta etica, l'importanza della parola di Dio espressa nelle Sacre Scritture per la società e l'educazione, il rapporto fra l'autorità civile e l'autorità religiosa e la libertà di religione e coscienza".

  Riferendosi al Pellegrinaggio in Terra Santa, nel maggio prossimo, il Papa ha precisato che: "La mia intenzione è di pregare specialmente per il prezioso dono dell'unità e della pace sia all'interno della regione che per tutta la famiglia umana nel mondo".

   "Che la mia visita" - ha auspicato il Papa al termine del suo discorso - "contribuisca ad approfondire il dialogo della Chiesa con il Popolo Ebraico così che Ebrei e Cristiani ed anche i Musulmani vivano in pace e armonia in questa Terra Santa".
AC/PACE TERRA SANTA/GRAN RABBINATO ISRAELE      VIS 20090312 (300)




LETTERA DEL PAPA REMISSIONE SCOMUNICA VESCOVI LEFEBVRE

CITTA' DEL VATICANO, 12 MAR. 2009 (VIS). Questa mattina è stata resa pubblica una Lettera di Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla remissione della scomunica dei quattro Vescovi consacrati dall'Arcivescovo Lefebvre.

  Di seguito riportiamo il testo integrale del documento, datato 10 marzo e pubblicato in lingua inglese, francese, spagnola, italiana, tedesca e portoghese.

  "Cari Confratelli nel ministero episcopale!

  "La remissione della scomunica ai quattro Vescovi, consacrati nell'anno 1988 dall'Arcivescovo Lefebvre senza mandato della Santa Sede, per molteplici ragioni ha suscitato all'interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata. Molti Vescovi si sono sentiti perplessi davanti a un avvenimento verificatosi inaspettatamente e difficile da inquadrare positivamente nelle questioni e nei compiti della Chiesa di oggi. Anche se molti Vescovi e fedeli in linea di principio erano disposti a valutare in modo positivo la disposizione del Papa alla riconciliazione, a ciò tuttavia si contrapponeva la questione circa la convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vita di fede nel nostro tempo. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento. Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari Confratelli, una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa".

  "Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all'improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa. Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio - passi la cui condivisione e promozione fin dall'inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico. Che questo sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e per un momento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la pace all'interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare profondamente. Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l'internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l'atmosfera di amicizia e di fiducia, che - come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II - anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere".

  "Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione. La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un'Ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l'unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all'unità. A vent'anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto. La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio. Con ciò ritorno alla distinzione tra persona ed istituzione. La remissione della scomunica era un provvedimento nell'ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall'ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l'istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri - anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica - non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa".

  "Alla luce di questa situazione è mia intenzione di collegare in futuro la Pontificia Commissione 'Ecclesia Dei' - istituzione dal 1988 competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa - con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Con ciò viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l'accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi. Gli organismi collegiali con i quali la Congregazione studia le questioni che si presentano (specialmente la consueta adunanza dei Cardinali al mercoledì e la Plenaria annuale o biennale) garantiscono il coinvolgimento dei Prefetti di varie Congregazioni romane e dei rappresentanti dell'Episcopato mondiale nelle decisioni da prendere. Non si può congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l'intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l'albero vive".

  "Spero, cari Confratelli, che con ciò sia chiarito il significato positivo come anche il limite del provvedimento del 21 gennaio 2009. Ora però rimane la questione: Era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente una priorità? Non ci sono forse cose molto più importanti? Certamente ci sono delle cose più importanti e più urgenti. Penso di aver evidenziato le priorità del mio Pontificato nei discorsi da me pronunciati al suo inizio. Ciò che ho detto allora rimane in modo inalterato la mia linea direttiva. La prima priorità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu … conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32). Pietro stesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera: 'Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi' (1 Pt 3, 15). Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) - in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l'umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più".

  "Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l'unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani - per l'ecumenismo - è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce - è questo il dialogo interreligioso. Chi annuncia Dio come Amore 'sino alla fine' deve dare la testimonianza dell'amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l'odio e l'inimicizia - è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell'Enciclica 'Deus caritas est'".

  "Se dunque l'impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l'amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma ora domando: Era ed è veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che 'ha qualche cosa contro di te' (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione? Non deve forse anche la società civile tentare di prevenire le radicalizzazioni e di reintegrare i loro eventuali aderenti - per quanto possibile - nelle grandi forze che plasmano la vita sociale, per evitarne la segregazione con tutte le sue conseguenze? Può essere totalmente errato l'impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l'insieme? Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l'insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l'intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l'amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell'unità? Che ne sarà poi?".

  "Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest'occasione concreta abbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate - superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un'apertura dei cuori. Ma non dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella consapevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell'ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l'impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo".

  "Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare e commentare il brano di Gal 5, 13 - 15. Ho notato con sorpresa l'immediatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: 'Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!'. Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in San Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo 'mordere e divorare' esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l'uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l'amore? Nel giorno in cui ho parlato di ciò nel Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madonna della Fiducia".   "Di fatto: Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Figlio, di cui noi tutti possiamo fidarci. Egli ci guiderà - anche in tempi turbolenti. Vorrei così ringraziare di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che in questo tempo mi hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto e soprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera. Questo ringraziamento vale anche per tutti i fedeli che in questo tempo mi hanno dato testimonianza della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore protegga tutti noi e ci conduca sulla via della pace. È un augurio che mi sgorga spontaneo dal cuore in questo inizio di Quaresima, che è tempo liturgico particolarmente favorevole alla purificazione interiore e che tutti ci invita a guardare con speranza rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua".

Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo Vostro nel Signore
BXVI-LETTERA/SCOMUNICA VESCOVI LEFEBVRE/...      VIS 20090312 (2390)


PADRE LOMBARDI: PAPA SI SENTE INTERPELLATO COME PASTORE

CITTA' DEL VATICANO, 12 MAR. 2009 (VIS). In un Commento alla "Lettera del Papa ai Vescovi della Chiesa Cattolica  riguardo alla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall'Arcivescovo Lefebvre", Padre Federico Lombardi, S.I., afferma: "E' un documento davvero inconsueto e degno della massima attenzione. Mai come in questo caso finora durante il suo Pontificato Benedetto XVI si era espresso in un modo così personale ed intenso su un argomento dibattuto".

  "Il Papa ha vissuto la vicenda del gesto di remissione della scomunica e delle reazioni che ne sono seguite con evidente partecipazione e sofferenza. (...) E si sente tenuto ad intervenire per 'contribuire alla pace nella Chiesa', che vede turbata".

  "Con la consueta lucidità ed umiltà riconosce limiti e sbagli che hanno influito negativamente sulla vicenda, e con grande nobiltà non ne attribuisce ad altri la responsabilità, manifestandosi solidale con i suoi collaboratori. Parla di informazione insufficiente a proposito del caso Williamson e di non sufficiente chiarezza nella presentazione del provvedimento di remissione della scomunica e del suo significato".

  "Anche la questione del 'caso Williamson' (...) appare fortunatamente già superata, ma dà modo al Papa di ricordare con fierezza che la condivisione e promozione di tutti i passi fatti per tale riconciliazione a partire dal Concilio erano state 'fin dall'inizio un obiettivo del suo personale lavoro teologico'".

  "Il Papa si impegna piuttosto a chiarire la natura, il significato, le intenzioni del provvedimento di remissione della scomunica; spiega che come la scomunica era una punizione per delle persone che avevano compiuto un atto che metteva a rischio l'unità della chiesa non riconoscendo l'autorità del Papa, così ora - dopo che le persone colpite avevano manifestato un riconoscimento dell'autorità del Papa - la remissione della scomunica è un caldo invito al loro ritorno nell'unità".

  "Benedetto XVI si sente interpellato profondamente nella sua responsabilità di pastore della Chiesa universale e ritiene di dover chiarire senza incertezze ai suoi fratelli nell'Episcopato corresponsabili del bene della Chiesa, con quali priorità e con quale spirito sta svolgendo il suo servizio. (...) Egli ribadisce le grandi priorità del Pontificato (...): condurre gli uomini a Dio, Dio che si è rivelato nella Bibbia e in Cristo; l'unità dei cristiani; il dialogo fra i credenti in Dio al servizio della pace; la testimonianza della carità nella dimensione sociale della vita cristiana".

  "Ma poi il Papa continua la sua riflessione invitando i suoi interlocutori a una riflessione personale ed ecclesiale impegnativa e stringente. Il fatto paradossale che da un gesto che vuol essere di misericordia e riconciliazione sia nata invece una situazione di acute tensioni obbliga infatti a interrogarsi per discernere quali atteggiamenti spirituali si siano manifestati e siano all'opera in questa vicenda".

  "Le domande del Papa si fanno incalzanti, animate da una vivissima preoccupazione per l'unità. Non perdono il senso del realismo, poiché ricordano anche i gravi difetti di tante espressioni dei tradizionalisti, ma uguale realismo critico il Papa sente di dover conservare nei confronti di membri della Chiesa e della società che sembrano opporsi con irriducibile intransigenza ad ogni sforzo di riconciliazione o anche solo di riconoscimento di elementi positivi nell'altro".

  "La riflessione termina ritornando a un invito appassionato all'amore come priorità assoluta per il cristiano e a un auspicio profondo di pace per la comunità della Chiesa".
OP/LETTERA VESCOVI/LOMBARDI                       VIS 20090312 (550)


ALTRI ATTI PONTIFICI

CITTA' DEL VATICANO, 12 MAR. 2009 (VIS). Il Santo Padre ha nominato il Padre Salvador Rangel Mendoza, O.F.M., Vescovo di Huejutla (superficie: 6.014; popolazione: 530.000; cattolici: 502.000; sacerdoti: 95; religiosi: 63), Messico. Il Vescovo eletto è nato a Tepalcatepec (Messico), nel 1946, ha emesso la professione perpetua nel 1973 ed è stato ordinato sacerdote nel 1974. Dal 2006 Vicario Episcopale della Zona Pastorale di "Nuestra Señora de la Luz" nell'Arcidiocesi di Morelia (Messico), succede al Vescovo Salvador Martínez Pérez, del quale il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della medesima Diocesi, per raggiunti limiti d'età.
NER:RE/.../RANGEL:MARTiNEZ                                   VIS 20090312 (100)

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